Weekend, chiusi o aperti? Il dibattito divide la ristorazione italiana

di letizia ceriani

Da qualche mese la ristorazione sta vivendo un dibattito vivace. La miccia è stata accesa da Trippa, la celebre trattoria milanese di Diego Rossi e Pietro Caroli, che a settembre ha annunciato la chiusura del ristorante nel fine settimana per garantire due giorni uniti di riposo ai dipendenti. In risposta, a novembre la catena di pasta fresca Miscusi ha comunicato l’apertura continuata 7 giorni su 7 dei suoi 21 ristoranti, dal pranzo alla cena. Della stessa idea, il ristorante Ratanà che, come raccontato dallo chef Cesare Battisti a MAG, nel 2026 aprirà tutti i giorni a orario continuato. Strategie diametralmente opposte che cercano di rispondere alla medesima emergenza: nel 2025, stando agli ultimi dati FIPE, mancheranno circa 258mila lavoratori nei settori del commercio, della ristorazione e dell’alloggio. Una criticità che il settore si trascina dietro ormai da qualche anno.

La scelta di Trippa: rispondere a un’esigenza interna

Per Trippa abbassare la saracinesca anche il sabato (la domenica era già giorno di chiusura) non è stata una decisione banale, ma – come raccontato da Diego Rossi in un’intervista a Cook del Corriere – ha lo scopo di valorizzare i dipendenti concedendo due giorni uniti di riposo, sabato e domenica, come da loro richiesto.

Diego Rossi

Una scelta coraggiosa, considerando che sabato è tradizionalmente il giorno di maggior incasso per i ristoranti. Ma, come spiegato da Rossi e Caroli, per Trippa il weekend non è tanto diverso rispetto agli altri giorni, in primis perché Trippa funziona e dunque se lo può permettere. Per compensare parzialmente le perdite, il ristorante ha inoltre introdotto l’apertura il venerdì a pranzo. E poi, risponde nell’intervista Rossi, «Ho una brigata da tutelare, altrimenti chi cucina poi? Il vero problema della ristorazione oggi è che non ci sono più cuochi, quelli che hai e che funzionano li devi fidelizzare».

A prescindere dalle opinioni, è certo che in Italia oggi, tenendo conto della pressione fiscale e quindi della spesa aziendale che comporterebbe alzare gli stipendi, ridistribuire le ore di lavoro a parità di incassi porterebbe senz’altro dei benefici a costi azzerati.

La risposta di Miscusi: innovazione e cultura aziendale

Alberto Cartasegna

A inizio novembre, il ceo di Miscusi, Alberto Cartasegna ha annunciato l’apertura continuata nel pomeriggio. Pur rispettando la scelta di Trippa, Cartasegna non la condivide. «Il nostro mestiere può essere logorante: turni spezzati, weekend obbligati, nonnismo, nero […] – ha dichiarato in un comunicato -. La ristorazione può e deve essere meglio di così. Serve rispetto, ma anche metodo, tecnologia e coraggio per rendere questo lavoro un desiderio e non un sacrificio. Ogni giorno lavoriamo per alleggerire il lavoro nei ristoranti, renderlo più piacevole, meno pesante, ridurre il numero di persone necessarie a fare quelle attività e pagarle di più». Per Miscusi, dunque, chiudere non può essere la soluzione, perché l’Italia – oggi sempre di più – è l’epicentro dell’ospitalità europea. L’apertura continuata nasce infatti dall’osservazione attenta del turismo cittadino: sono in molti a cercare un piatto di pasta anche “fuori orario”. Prolungare l’orario, oltre a rispondere alla domanda della clientela, permetterebbe, secondo Cartasegna, di ottimizzare i turni e ammortizzare i costi fissi. L’organizzazione adeguerà di conseguenza i contratti regolari per oltre 400 dipendenti, 40 ore settimanali senza incentivare straordinari, rotazione nei weekend, piano ferie annuale e incentivi economici. I restaurant manager raggiungono 40mila euro lordi annui con bonus e stock option. Anche l’organico avrà una rimodulazione. «Anche con orari estesi garantiamo equilibrio – ha confermato Matteo Mozzetti, head of people di Miscusi -. Turni organizzati con due settimane di anticipo, rotazioni nel weekend, piano ferie annuale, incentivi economici per tutti i livelli. La differenza sta nella cultura aziendale e nei valori che mettiamo al centro».

Una crisi strutturale. Battisti: ripensare la ristorazione

Entrambe le strategie rispondono a una crisi profonda e sistemica. Dati FIPE alla mano, in Italia nel 2024, oltre 19mila ristoranti hanno chiuso, segnando il peggior saldo dell’ultimo decennio, con un impatto su oltre 60mila addetti del settore. La ristorazione italiana conta oggi 328mila imprese, con un calo dell’1,2% rispetto al 2023. A questo tema, si aggiunga il fatto che, sempre stando all’ultimo rapporto della Federazione, nel 2024 l’80% dei ristoranti e il 70% dei bar hanno avuto difficoltà a trovare personale. Il 25% delle attività dichiara di lavorare sottorganico, il 41% ha avviato una ricerca di nuovi collaboratori e quasi 3 attività su 4 hanno avuto difficoltà nel trovarli. Fra le cause riportate, la formazione insufficiente dei candidati, ma anche il rifiuto degli stessi ad accettare proposte lavorative ritenute insoddisfacenti, sia economicamente che per le difficoltà di bilanciamento tra lavoro e vita privata – il tanto agognato work-life balance.

Cesare Battisti

È perentorio il commento dello chef del ristorante Ratanà Cesare Battisti, intervistato da MAG. «Tocca fare i conti con le richieste dei dipendenti. Lamentarsi non serve a niente, questo lavoro sta cambiando e noi dobbiamo essere artefici di questo cambiamento… (continua)

Continua a leggere l’articolo, scarica la tua copia di MAG: LEGGI QUI

Letizia Ceriani

SHARE