In 60 al lavoro da Cracco in Galleria
A meno di 24 ore dal primo servizio (previsto per la cena del 21 febbraio), le porte di quello che si prepara a diventare il ristorante simbolo di Milano capitale dell’alta cucina italiana, si sono aperte per i giornalisti. Foodcommunity.it non poteva mancare.
A fare gli onori di casa, assieme allo chef patron, Carlo Cracco (nella foto) affiancato da sua moglie Rosa Fanti, c’erano il sindaco di Milano, Beppe Sala, gli architetti che hanno lavorato alla rinascita degli spazi che da oggi in poi ospiteranno questo tempio dell’alta gastronomia, Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli dello studio Peregalli, oltre a diversi amici dello chef come Lapo Elkann, suo socio nel progetto Garage.
L’apertura di Cracco in Galleria non rappresenta semplicemente una nuova fase nella carriera di Carlo Cracco, ma è senza dubbio il suo progetto ad oggi più ambizioso. Cracco in Galleria, infatti è cafè, ristorante, cantina e un salone privato (per occasioni particolari). Ciascuno di questi spazi, che in totale occupano circa 1.000 metri quadrati, vivrà una sua vita autonoma e allo stesso tempo collegata a quella degli altri.
I numeri: 50 coperti circa al piano terra, dehors incluso, 50 al primo piano, fino a 100 posti seduti e 150 in piedi al secondo. In totale, nella nuova struttura lavorano 60 persone.
A dirigere il ristorante c’è Alex Bartoli, 24 anni, già nel 2013 con Cracco in via Victor Hugo. Poi per quattro anni in forza al tre stelle Michelin di Firenze, Enoteca Pinchiorri. Qui ha maturato un esperienza fondamentale non solo nella gestione della sala ma anche in quella della cantina di cui è responsabile nel regno di Cracco di in Galleria. A proposito della Cantina, sono circa 2.000 le etichette presenti e oltre diecimila bottiglie. Tutte compaiono nella carta dei vini del ristorante: un tomo di 80 pagine, 40 delle quali riservate a etichette di Borgogna. E la cantina, al piano -1, è uno dei quattro ambienti che potranno essere vissuti dai frequentatori di questo posto. Qui si potrà venire anche solo a bere un bicchiere.
Al piano imediatamente superiore, quello che si apre alla Galleria costruita da Giuseppe Mengoni e inaugurata nel 1877 c’è invece il Cafè. Sarà la parte più viva del nuovo concept, quella che comincerà a lavorare la mattina alle 8 con le piccole colazioni e terminerà a sera inoltrata. La proposta gastronomica del Cafè è più semplice rispetto al ristorante, con piatti meno elaborati, per pranzi e cene veloci e informali. Una novità importante sarà lo spazio dedicato alla pasticceria e alle creazioni in cioccolato del pastry chef Marco Pedron: dalle brioche del mattino alle torte, dalle praline ai biscotti, tutto verrà creato e prodotto nel laboratorio dedicato presente al piano ammezzato.
Al primo piano, invece, si trova il ristorante. Una meraviglia di straordinaria eleganza. Si accede con un ascensore che si apre sulla sala d’accoglienza rivestita con una boiserie grigio-azzurra e una carta da parati dipinta a mano a grandi corolle floreali. Questa è l’anticamera del ristorante che poi si articola in tre sale e due privé. A sottolineare il protagonismo delle grandi finestre sull’Ottagono e la Galleria un’architettura a bassorilievo di archi e lesene che incorniciano grandi specchi anticati moltiplicano le prospettive, appliques in metallo e alabastro diffondono una luce soffusa, la moquette ocra e marrone a motivo floreale sembra uscita dall’Atelier Martine di Paul Poiret. A ridosso degli specchi, un omaggio all’arte milanese del 900 con tre piatti in ceramica appesi, courtesy della galleria Robilant+Voena.
La cucina sarà all’insegna della continuità con quella del ristorante in Victor Hugo: non mancheranno i piatti classici, dall’insalata russa caramellata al tuorlo d’uovo marinato, dal risotto allo zafferano e midollo alla piastra al rombo in crosta di cacao. Il tutto sempre all’insegna di una combinazione armoniosa tra tradizione e innovazione. Ogni piano ha la sua cucina. Ma è qui che si trova la più preziosa, con piastrelle su disegno di Gio Ponti, giallo zafferano, bianco e nero. E sempre ispirati a Gio Ponti sono i servizi di piatti di Richard Ginori, ideati dagli architetti e realizzati appositamente per Cracco, in tre varianti di colore coerenti con la palette dominante nei diversi piani.
Sempre al primo piano, dopo l’ultima sala, si apre un altro spazio degno di nota: il Fumoir. Dedicato agli amanti del sigaro e aperto agli ospiti del ristorante che hanno voglia di aspirare una sigaretta durante la cena, questo piccolo spazio ha anche una carta dedicata, con proposte come ostriche, spaghetti al caviale e selezione speciale Spigaroli. Il tocco di classe qui è rappresentato dal bancone in mogano e zinco, bottiglieria con specchio ed elementi nichelati di gusto Art Deco messi in risalto da pareti rivestite in filato metallico verde muschio.
In fine, il secondo piano. Qui si accede privatamente dal cortile affacciato su via Pellico. Lo spazio è riservato alle occasioni speciali: concepito come uno scenario teatrale, permette di creare ogni volta un ambiente su misura, grazie all’assenza di arredi fissi, fatta eccezione per il grande bancone del bar in marmo di Levanto degli anni ’20. Una hall/guardaroba di colore verde scuro in lacca e tessuto conduce a un unico ampio spazio, la Sala Mengoni, dalle pareti coperte da una resina speciale a rilievo a doppio disegno, con un effetto di ferro argentato. Il pavimento è in seminato, il recupero di un affresco ottocentesco con un motivo di putti ha suggerito i decori degli altri soffitti. Ancora una volta il posizionamento degli specchi crea tutta una serie di rimandi e riflessi in un incessante dialogo con la cupola della Galleria.