Diritto d’autore in cucina: come proteggere piatti e ricette

di Gilberto Cavagna di Gualdana e Sofia Kaufmann*

 

Nonostante quella culinaria sia oramai considerata una vera e propria arte e l’entusiasmo verso la cucina continui a crescere – dando vita a fiere, programmi televisivi, pagine social, guide o itinerari gastronomici – il mondo del diritto stenta, tuttavia, a riconoscere a ricette e piatti una tutela univoca.

Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate spesso sulle forme di tutela accordabili alle creazioni culinarie e, già nel VI sec. a.C. a Sibari, in Magna Grecia, era stabilito per legge che qualora un ristoratore o un cuoco avesse inventato un piatto originale ed elaborato, nessuno altro ad eccezione del suo inventore fosse autorizzato ad utilizzare tale ricetta per un anno dalla data della sua creazione, così che questi fosse l’unico a poterne ricavare un profitto e gli altri fossero indotti a fare uno sforzo per distinguersi nello stesso campo.

Nonostante il promettente inizio, l’attuale sistema normativo non prevede però nulla di così “specifico” e, stante l’assenza di una disciplina dedicata, per la tutela di piatti e ricette si richiamano di volta in volta, i vari istituti previsti dal diritto della proprietà intellettuale.

La diversa possibile tutela dipende infatti dal fatto che un piatto si compone di due elementi, che sono la ricetta (composta dagli ingredienti e dal procedimento di preparazione) e la presentazione, il cosiddetto “impiattamento”; e ciascuno di essi, sussistendone i presupposti, può essere protetto dalla normativa prevista in materia di diritto d’autore o da quella in materia di proprietà industriale.

Più in particolare, per quanto riguarda le ricette esse possono di norma essere tutelate, a seconda dei casi, come opere dell’ingegno, come brevetti oppure come know-how.

La legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633 e succ. mod.) tutela, infatti, tutte “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” (art. 1, co. 1), senza tuttavia un espresso riferimento all’arte culinaria. La tutela autoriale delle ricette è stata comunque espressamente riconosciuta, anche di recente, dal Tribunale di Milano che, interrogato sul tema, ha però rilevato come l’oggetto di tutela non sia la ricetta in sé e per sé (così come non sono più in generale tutelate le mere idee e intuizioni), né tanto meno la mera elencazione degli ingredienti e/o la schematica indicazione delle istruzioni per eseguire le varie fasi di preparazione (prive di qualsiasi creatività), bensì la forma espressiva di tali indicazioni, che comprende “sia il linguaggio e l’esposizione degli elementi che compongono i testi – ancorché di semplice costruzione – che il risultato concreto dell’attività di selezione e ricerca degli elementi ritenuti rilevanti ed importanti” (così sentenza n. 9763 del 10 luglio 2013), ovvero la sua estrinsecazione e presentazione all’esterno, sempre che non già diffusa e non banale.

Una ricetta potrebbe inoltre essere tutelata come brevetto, se ed in quanto rientra tra le invenzioni “che sono nuove e che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale” (cfr. articolo 45 del Decreto legislativo, 10 febbraio 2005 n. 30 e succ. mod.; il codice di proprietà industriale, di seguito “CPI”). Quindi, una ricetta diversa da quelle già note, che costituisca una soluzione non evidente e che porti ad un risultato tecnico inaspettato, idonea ad essere fabbricata e applicata in concreto, può essere tutelata come brevetto per invenzione industriale. Come ad esempio è stata tutelata la “Milanese cotta e cruda” depositata avanti l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dallo chef Giancarlo Perbellini nel 2019 con domanda n. 102019000014289, concessa il 30 luglio 2021, con cui è stata tutelata una rivisitazione del celebre piatto della tradizionale lombarda, caratterizzata da un’innovativa e peculiare tecnica di cottura.

Alcune ricette sono state tutelate invece negli anni come know-how, ovvero informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali che presentano le seguenti caratteristiche: segretezza, valore economico dovuto a tale segretezza e l’essere sottoposte a misure di sicurezza adeguate a mantenere tali informazioni segrete (art. 98 CPI). Si pensi, ad esempio, a quella della Coca-Cola, da sempre, inaccessibile, custodita nei caveaux della sede di Atlanta della celeberrima multinazionale.

Per quanto attiene invece alla tutela della presentazione dei piatti, e quindi non tanto riferita agli ingredienti che li compongono o al loro procedimento creativo, bensì al loro impiattamento finale, anche in questo caso le creazioni degli chef possono essere tutelate dalla legge sul diritto d’autore o dagli istituti della privativa industriale, come marchi o come design e modello d’utilità.

L’impiattamento può essere infatti tutelato come design; secondo quando disposto dall’articolo 31 e seguenti del CPI possono infatti costituire oggetto di tutela come disegni e modelli l’aspetto integrale di un prodotto (o di una sua parte) a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale, caratteristica che richiede che l’impressione generale che il piatto deve suscitare differisca da quella generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi piatto già presentato in precedenza. Se poi è dotato di creatività e valore artistico, caratteristica riscontrabile in opere esposte in mostre o oggetto di premi e attestati o comunque riconosciute da parte della critica come opera d’arte, l’aspetto di un piatto può essere protetto anche come opera dell’ingegno e beneficiare anche della (più lunga ed ampia) tutela autoriale. Uno dei piatti che, nell’ambito di un mock trial, tenutosi nel 2015 alla Triennale di Milano – presieduto dalla dottoressa Marina Tavassi, allora Presidente della Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Milano – è stato ritenuto meritevole di tutela quale opera del disegno industriale creativa ed artistica, è stato il celebre “Risotto, oro e zafferano” dello chef Gualtiero Marchesi.

Il celebre piatto di Marchesi è stato peraltro riconosciuto possedere anche i requisiti necessari per essere tutelato come marchio di forma, ovvero una forma nuova e con capacità distintiva, la cui configurazione non risulta sostanzialmente dovuta alla natura del prodotto e/o all’ottenimento di un risultato tecnico (art. 9 CPI). E difatti, i titolari dei relativi diritti, hanno deciso di tutelare tale piatto registrandolo quale marchio presso Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, con domanda n. 015695034, depositata il 27 luglio 2016 e concessa il 17 novembre dello stesso anno.

Quando si parla di ricette e piatti gourmet siamo in presenza, dunque, di un panorama giuridico frastagliato che pone i loro autori davanti a diverse forme di tutela, la cui attitudine a rappresentare la protezione migliore andrà valutata caso per caso, a seconda che ciò che si intende tutelare sia il piatto nella sua specifica presentazione piuttosto che i suoi ingredienti e la sua realizzazione.

Tenendo sempre presente che, così come nel campo delle arti visive, letterarie e musicali, anche nel mondo della cucina la contaminazione e l’emulazione è parte del processo creativo, al punto che diversi chef si ritengono lusingati dal fatto che colleghi ed epigoni tentino, con risultati più o meno positivi, di riprodurre i loro piatti, poiché è in tale forma di riconoscimento che risiede la notorietà di determinati piatti; posto che spesso sono gli chef in prima persona a presentare al pubblico le loro ricette, perché si mettano alla prova riproducendole o rivisitandole.

Alcuni piatti e cibi, infine, se ritenuti di particolare importanza per la tradizione e la cultura di un luogo, possono essere riconosciuti dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità. È questo il caso dell’ “Arte tradizionale del pizzaiulo napoletano” iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dal 2017, o dell’intera cultura gastronomica francese inserita nel 2010 e sarà forse il destino della paella valenciana, al momento dichiarata di interesse culturale unicamente dal governo spagnolo. Si tenga tuttavia presente che tali riconoscimenti, sia a livello nazionale che internazionale, lungi dall’essere assimilabili a dei diritti di privativa incidono prevalentemente sul valore e il rilievo che determinate ricette o cucine hanno nella tradizione culturale di un popolo, prestigio che andrà ad avvantaggiare tutti coloro che vorranno promuovere la propria cucina realizzata secondo determinati e approvati standard.

*Andersen

 

 

FabioAdmin

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